articolo di Cinzia Bonfà su Bibenda7 – n.159 del 2 ottobre 2015
Diciamo che tutti noi conosciamo la patriottica canzone del Piave scritta nel 1918 chiamata anche “La leggenda del Piave” quando l’Impero austro-ungarico decise di sferrare un grande attacco (ricordato con il nome di “Battaglia del solstizio”) sul fronte del fiume Piave per piegare definitivamente l’esercito italiano ma che fu poi (fortunatamente) costretto ad arrestarsi a causa della piena del fiume. Proprio il fiume Piave è stato protagonista di devastante potenza nelle piene dando origine a inondazioni che hanno lasciato un terreno alluvionale ben drenato, dove nel corso dei secoli si sono sedimentati i detriti ghiaiosi. Ed è su questa tipologia di terreno che, a Tezze di Piave, l’azienda Cecchetto coltiva il Raboso.
Il Raboso del Piave è un vitigno autoctono del Veneto antichissimo con radici che affondano le proprie origini nei secoli fino ad arrivare al 1600 ed è un vitigno scorbutico, difficile da domare e poco accondiscendente con i gusti comuni. Una volta il Raboso era un vino duro, sgrassava il palato, “rabbioso”, appunto, com’era definito anticamente e da qui probabilmente l’etimologia del nome perché era un vino molto acido.
Oggi grazie a un numero di vignaioli che credono nelle potenzialità del vitigno unito alla particolarità del territorio, si sta valorizzando il Raboso vestendolo di nuova luce, ingentilendolo, creando un prodotto più easy, sempre dinamico con la sua decisa freschezza ma fruttato e più morbido e molto longevo.
Giorgio Cecchetto ama la ricerca e la sperimentazione ma ha anche un profondo rispetto per la tradizione e così tra passato e futuro nella sua cantina oltre al Merlot, Carmenère, Cabernet Sauvignon, Manzoni Bianco, Pinot Grigio e Prosecco, si possono assaggiare diverse prove, versioni ed esperimenti riguardanti il Raboso del Piave. Questo vitigno con l’azienda Cecchetto è in continua evoluzione, declinato in diverse tipologie, dalla versione tradizionale Raboso Piave a quella più lavorata del Gelsaia, per poi passare a quella spumantizzata del Metodo Classico Rosè, fino ad arrivare alla versione passita. Questo “cavallo di razza” ha sempre avuto delle potenzialità e già alla fine degli anni novanta l’azienda ha iniziato ad appassirne una parte per cercare di smussarne gli spigoli. Ecco che nasce il Gelsaia, un vino intrigante da lungo invecchimento, gentile, morbido, succoso e profumatissimo nell’esprimere il suo respiro. Dal 2011 è una Docg con la nuova denominazione Piave Malanotte che prevede la percentuale delle uve appassite in fruttaio che possono variare da un minimo del 15% a un massimo del 30%.
Il Gelsaia con il 2011 è alla nona annata ed è prodotto solo nelle annate migliori in cui il Raboso ha raggiunto l’eccellenza espressiva. Nel calice si muove denso e impenetrabile, dal colore rubino vivido. Profumatissimo di leggerezze fruttate, intrigante nel proporti ciò che realmente è: bellezza e voluttà. Humus, confettura di visciole e gelsi, amarena sotto spirito, liquirizia e tabacco dolce. La dolcezza immediata è stemperata da una decisa acidità e da un tannino presente e rugoso ma mai invadente che accompagna un sorso felice in una lunga persistenza fruttata. Indimenticabile.